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El tòr

I miei zii avevano la stalla: una di quelle belle stalle caldine e profumate, dove c'erano 6-7 vacche, un paio di vitelli, e spesso qualche gallina che preferiva stare al calduccio che con le sue sorelle nel pollaio. In un altro fabbricato c'erano i maiali, il cavallo e, per un periodo, il toro.

Mi piaceva da morire girare fra i piedi dello zio ad "aiutarlo" a mungere, a portare il fieno alle manze, a mettere il muso del vitellino nel secchio del latte (che linguetta rasposa) a combinare malanni e a guardare il toro. Che bestia!

Non sono molto grande neanche adesso, ma allora ero proprio piccina e mi pareva una montagna con le zampe. Nero nero con un bel paio di corna e lo sguardo tutt'altro che rassicurante. Giravano storie terribili sul suo conto: ferocissimo, molto irritabile, aveva già preso a cornate un precedente proprietario. Si diceva che solo lo zio potesse avvicinarlo senza rischi.

Nei nostri discorsi di ragazzini il toro era diventato una belva pericolosissima e sanguinaria e guardarlo dal finestrino della stalla era un atto di coraggio e di esorcismo di tutte le paure da bambini.

A farla breve un pomeriggio, andando all'abbeverata, spaventato dal cane, strappò la catena dalle mani del cugino grande, sfilò la chiusura di sicurezza e si trovò libero.

Panico. Fuggi fuggi generale, i più agili sul tetto della stalla, i piccoletti dentro il pollaio con la porta sbarrata, ammucchiati vicino al finestrino per assistere in prima fila alla tragedia inevitabile, e il cugino grande a spron battuto alla ricerca dello zio.

Il toro si guardava in giro con aria tremenda.

Dopo un attimo di perplessità si avviò a passo di carica verso lo stretto passaggio che porta in piazza quando, dall'altra parte del sentiero, spuntò la testolina bionda del piccolino: 7 anni, alto un soldo di cacio e anche un po' miope. Il mondo si fermò: ci parve di vederlo già calpestato, incornato, morto.

Senza un attimo di esitazione il piccolino si fece incontro al toro, lo prese per la catena e passo passo prima lo portò a bere e poi lo ricondusse in stalla nel silenzio più profondo.

Riprendemmo vita quando la sua vocina strillò: "com'ela che gh'era el tor a spas?"
(Come mai c'era il toro a passeggio?)

Oggi non ci sono stalle né porcili, qualche rara gallina, i campi sono terreno edificabile, lavorano tutti nel turismo, il cugino grande è maestro di sci e il piccolino è diventato sindaco.

   
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©franza Moscone Bianco